Andrej Rublëv, Raffaello e Giorgione, Kandinski e Tarkovskij, e l’invisibile torre di Tatlin … tra Epifania italiana e Natale russo, un viaggio nell’arte dell’icona e nel suo avvolgente movimento verso il divino
Noiosa introduzione storica – prima parte
L’Epifania, ci avverte Wikipedia, è “una delle massime solennità dell’anno liturgico, come la Pasqua, il Natale e la Pentecoste”. Perché? Perché è la festa in cui si celebra il manifestarsi della Divinità, in cui ciò che era nascosto, intuito, eppure ancora avvolto nei dubbi, ci si mostra in modo tale da superare le nostre incertezze. Oggi è anche la Vigilia del Natale per gran parte del cristianesimo ortodosso: due diverse feste si sfiorano dunque oggi al crocevia tra i diversi calendari liturgici. Ma questo accade anche, molto spesso, nelle più grandi opere d’arte: dove il Natale e l’Adorazione dei Magi possono convivere nello spazio mistico di una piccola tavola di legno, o di un guscio di pistacchio.
Noiosa introduzione storica – seconda parte
Natale ed Epifania sono spesso compresenti nelle opere d’arte, ma questo non significa che avvengano nello stesso momento: significa che i nostri normali schemi di lettura delle immagini, di fronte ad alcune raffigurazioni, devono cedere il passo a un altro sguardo. E anche che il significato della presenza di un personaggio in un certo angolino di un quadro, può scompaginare tutto ciò che credevamo di sapere, e dare nuova luce e nuova vita a un’opera d’arte, e forse anche a noi. Vogliamo quindi celebrare oggi anche l’arte dell’interpretazione dell’arte, ovvero l’ermeneutica, con un vero e proprio tuffo nello spazio infinito dell’icona.
Noiosa introduzione storica – terza e ultima parte
Qual è l’immagine che ci attraversa la mente quando sentiamo la parola “icona”? … A parte i simboletti di FB e di IG, ognuno di noi ha la sua icona: Marilyn Monroe, Maradona, Ariana, John Travolta ne La Febbre del Sabato Sera … Ovviamente, oggi ci occuperemo di un altro tipo di icona – o meglio dell’autentica icona, quella da cui i nostri simboletti FB o le nostre pop star hanno poi preso in prestito (o rubato!) la definizione.
Benché le icone siano tra le più antiche forme di arte cristiana, si può dire che in un certo senso, con il presepe di San Francesco del 1223 rappresentato da Giotto, il loro immenso patrimonio di forme e significati scompaia dalla storia dell’arte. Sarà solo nel 1904 che l’icona tornerà a parlarci, dopo secoli, quando venne restaurata la Trinità di Andrej Rublev – una delle più alte espressioni dell’arte spirituale di tutti i tempi. Questo evento, come ci dice la nostra cara Wikipedia, segnò la riscoperta dell’icona da parte dell’estetica moderna e nei primi dieci anni del ‘900 le icone diventarono “l’ossessione dell’intellighenzia russa”. Un intero sistema di significazione e di raffigurazione rientra nel mondo dell’arte, esplodendo nei concerti visivi di Kandinskij, nelle danze dei colori di Matisse, nelle spirali verticali di Tatlin.
Ma di tutto questo non parleremo oggi. L’introduzione storica è già durata troppo. L’informazione non è conoscenza. Lasciamoci piuttosto guidare dalle parole di Sara d’Ippolito, come nuovi e smarriti re Magi, alla scoperta di queste porte spalancate verso l’infinito. (S.C.)
L’icona di Natale: un viaggio cifrato verso la Divinità
di Sara d’Ippolito
Nella tradizione ortodossa arte spirituale per eccellenza è l’arte dell’icona. Teologia per immagini, preghiera incarnata, l’icona concentra l’occhio e la mente attraverso una bellezza dotata di senso. L’icona ortodossa del Natale rivela una comprensione della nascita di Cristo che di discosta dall’interpretazione occidentale.
Nella nostra tradizionale iconografia al centro della Natività si pone il bambino circondato da Maria e Giuseppe (ovvero la cosiddetta Sacra Famiglia). È questa un’immagine pienamente umana della nascita di un bambino Divino.
Nella tradizione orientale al centro dell’opera risalta in primo luogo la figura della Madre di Dio. È lei stessa il “luogo” in cui si compie la Natività. Rappresentata subito dopo il parto la Vergine riposa pensosa, lo sguardo attento ripiegato in se stesso. La Madre di Dio è raffigurata racchiusa in una sorta di rosso involucro, “hortus conclusus”, fonte sigillata del Cantico dei Cantici, porta che si è aperta per accogliere la Divinità rimanendo mirabilmente intatta e chiusa al mondo.
Dietro di lei di scorge dal buio di una grotta la figura più piccola della composizione: il Bambino infinito che i cieli non possono contenere è nato senza rumore. La Divinità nasce fragile, tenera e debole e la natura stessa nelle figure del bue e dell’asinello si volge a contemplarla e proteggerla. La sovrasta l’oscura grotta del peccato, notte delle passioni dell’uomo.
Nell’icona tutto è sincronia, movimento, contemporaneità del senso.
Magi e pastori sono raffigurati su lati opposti perché rappresentano diversi movimenti spirituali. Come scrive l’apostolo Paolo “i greci cercano la saggezza, gli ebrei cercano i miracoli”. Entrambi si muovono verso Dio.
I tre Magi nell’angolo superiore a sinistra sono in dialogo fra loro, osservano il cielo per trovare la strada che li porterà al Messia.
Da sempre la filosofia è amore della sapienza Celeste. Ad osservare attentamente si nota che i Magi si differenziano per età: uno è giovane, l’altro è già maturo, il terzo è vecchio. Dopo tutto, puoi essere salvato a qualsiasi età, ma il più giovane dei saggi indica il bambino: è meglio trovare il Signore prima possibile.
I pastori sono più vicini alla Natività e uno degli angeli che li sovrasta si volge a loro e annuncia la nascita miracolosa. A differenza dei Magi, sapienti che sanno leggere il segno dei tempi, gli ebrei trovano Dio non secondo ragionamento e ricerca ma per rivelazione.
I Magi sono raffigurati nella loro ascesa verso i misteri celesti. I loro sguardi si colgono in alto mentre al di sotto di loro tre angeli si colgono al contrario alla terra dove si compie il miracolo della discesa del Celeste fanciullo. Vola l’uomo verso l’alto, discende alla terra la Divinità.
Come in un specchio rovesciato all’estremità opposta dell’icona la scena si ripete: ma qui pastori al contrario, attendono umilmente uno degli angeli rechi loro la buona novella, mentre altri due angeli sono in contemplazione della stella, che taglia verticalmente i tempi col suo triplice raggio divino. La nascita del bimbo segna un punto di non ritorno nelle ere celesti e terrestri. Ad essa si volgono in silenzio gli angeli, al contrario dei Magi in eterna conversazione. La filosofia è perenne movimento di scoperta. Le schiere angeliche al contrario si fermano attonite in pura contemplazione, che è fede che non chiede ragione della miracolo.
Nell’angolo in basso a sinistra c’è Giuseppe seduto in profonda riflessione. Accanto a lui in piedi c’è un uomo avvolto in una scura pelle di capra che pare suggerire a Giuseppe pensieri inquietanti. Al lato opposto dell’icona due donne apprestano il rito del Battesimo di un bimbo. L’incontro col Divino ci pone sempre davanti a una tentazione: credere o dubitare? Giuseppe è rappresentato nel momento del dubbio, le donne al contrario accettano il mistero al punto di volerne farsene partecipi col rito del battesimo.
Di cosa ci parla l’icona del Natale?
La tradizione ortodossa nella sua simbologia sta a rappresentare il viaggio dell’uomo verso Dio e di Dio verso l’uomo. Se riuniamo al centro le linee che delimitano la grotta e il giaciglio di Maria vedremo formarsi un cuore. È nel cuore dell’uomo che nasce la Divinità. E il cuore stesso è zona della lotta spirituale, antro oscuro delle passioni o giardino intatto di purezza.
Dio discende all’uomo nella sua triplicità ipostatica (le triplici figure in alto a sinistra di angeli e Magi) e nella sua Divino – umanità (in basso a destra le duplici figure di pastori, donne e Giuseppe e il tentatore.
Umile preghiera che attende la rivelazione o ardita ascesa del pensiero: entrambe le vie possono condurre all’incontro della Divinità nel proprio cuore.
Gioia della fede o tormentosa incredulità, questa è la scelta che attende ogni uomo che abbia ricevuto l’angelico dono della visita del Divino nella propria anima.
Attendete senza perdere la fiducia o balzate arditamente a cavallo della vostra anima in cerca della strada che porta al senso della vostra vita! Tutto è possibile da quando la Divinità è scesa sulla terra: è questo l’appello silenzioso che ci giunge da Oriente.
A tutti, buon viaggio.
Microbibliografia
Salvatore Settis, La “Tempesta” interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, Torino, Einaudi, 1978; Pavel Florenskij Le porte regali Saggio sull’icona (varie ed.); Vasilij Vasil’evič Kandinskij, Lo spirituale nell’arte (varie ed.); Andrej Tarkovskij , Martirologio. Diario 1970-1986, Firenze, Edizioni della Meridiana, 2002