Dolce sorriso, timore e maraviglia: un viaggio nella Divina Commedia che ha dato voce nuova al nostro sentire
Addio 2021! Benvenuto 2022!
L’anno passato all’insegna di Dante e del settecentenario della sua morte ci ha insegnato tante cose, ma una più di tutte: che celebriamo la morte di qualcuno solo quando la sua vita è stata così intensa e profonda da lasciare un segno nel corso dei secoli. E come racconterebbe lui stesso, con un’analogia tratta dalla natura che tanto mirabilmente sapeva descrivere, l’eco di una tale vita sarà tale da espandersi anche negli anni futuri, come le onde circolari che seguono il tocco di un oggetto su una superfice d’acqua liscia … il tempo, ecco, è questa superfice, e le onde generate dal canto di Dante continuano a increspare e movimentare le nostre vite, ben oltre le ufficiali celebrazioni. E allora, inauguriamo questo nuovo anno dando voce alla nostra collaboratrice Paola Simonetti che ci guiderà attraverso un altro straordinario effetto della Divina Commedia – un effetto-farfalla, ma più bello: quando una musa sorride a un poeta, settecento anni dopo, un piccolo museo di Napoli esplode di gioia.
Buona fine, e buon inizio!
(S.C., direttrice del Museodivino di Napoli)
Come l’interpretazione modifica il significato delle parole.
Chi ha inventato il sorriso italiano? Per quanto possa sembrarci strano, a noi che siamo abituati a pensarlo arcigno e severo, fu Dante ad inserire questa bellissima parola nel nostro vocabolario.
Ce lo ha raccontato Giulia Bonaldi, ricercatrice italiana al Trinity College di Dublino, in un articolo apparso nel 2019 sull’importante rivista «Lettere Italiane» intitolato «Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca». In questo breve saggio, la studiosa ripercorre rapidamente la storia dei termini “ridere” e sorridere” nella scolastica medievale, e come questi, sotto la penna dell’Alighieri, si trasformino fino ad assumere i connotati che pur ora gli riconosciamo. Sulla scia di quanto scritto dalla dott.ssa Bonaldi, in questo articolo analizzeremo alcune delle emozioni descritte nelle opere di Dante, vedremo il suo modo di interpretarle e scopriremo quanto l’autore trecentesco fosse, senza dubbio, un maestro delle parole.
Il sorriso: emozione tutta italiana
Il verbo ridere, etimologicamente, ha dei connotati non del tutto positivi. Deriva dal latino, risus, che condivide con il verbo greco K-rid-dein la stessa radice. Il significato originario è quello di stridere, prorompere in riso mostrando una contrazione dei muscoli facciali.
Nel Medioevo l’atteggiamento cristiano di chiusura enfatizzava le accezioni negative insite nel termine stesso, associando all’idea di sorriso un’esplosione emotiva e corporea che doveva essere controllata. Ebbene, chi ha liberato il sorriso dallo stigma dell’essere un gesto da evitare? Chi è allora l’inventore del sorriso italiano, tenero e dolce, che tanto ha segnato l’iconografia femminile trecentesca? La risposta è Dante, e forse senza di lui non avremmo avuto l’enigmatica Gioconda.
Come racconta la dott.ssa Bonaldi, Dante, anacronisticamente rispetto al suo tempo, condivideva il pensiero aristotelico secondo cui l’uomo è l’unico tra gli esseri viventi a ridere, avendo colto quanto sia un gesto umano, appartenente all’uomo e, dunque, degno. Nel terzo trattato del Convivio, però commentando Amor che ne la mente mi ragiona, il padre della lingua Italiana specifica quanto il riso fragoroso e smoderato debba essere condannato in quanto semplice manifestazione corporea, mentre ammette ed esalta il sorriso composto, il dolce sorriso, che non nega la serietà, il pensiero e la sapienza. Il sorriso che, nella Commedia, più volte apparirà sul volto di Dante stesso, di Virgilio, di Matelda e della beata Beatrice. Il sorriso «che mai non si sentia se non de l’occhio»
Nella Commedia il riso sguaiato è bandito anche dal demoniaco Inferno ma seguendo la narrazione resta evidente quanto il concetto di sorriso, al pari del pellegrino, affronti un lungo viaggio subendo una trasformazione. Nell’Inferno, infatti, la sapiente emozione si manifesta solo sul volto di Virgilio (IV, 99); al contrario il ricordo del volto di Ginevra rimanda ad un peccaminoso e disïato riso (V, 133) e Barbariccia «che avea del cul fatto trombetta» chiude il XXI canto all’insegna del riso comico e grottesco.
Il sorridere diviene più frequente nel Purgatorio come elemento fondamentale del processo cognitivo di Dante nel riconoscimento delle anime, di cui il sorriso è attributo fondamentale. E’ il caso di Matelda «che ridea da l’altra riva dritta» (XXVIII, 67), del sorriso benevolo e un po’ ironico di Belacqua ( IV, 122), o del gioco di sguardi tra Stazio e Virgilio (XXI, 109) a cui anche Dante partecipa sorridendo «come l’uom ch’ammicca». Ma è nel Paradiso che il dolce sorriso si manifesta nella sua completezza, caratterizzando l’atteggiamento sapienziale di Beatrice che illuminata dalla verità ultima, ovvero quella divina, si colora di affetto e compassione verso la debolezza e i dubbi di Dante.
Il caso del dolce sorriso è, dunque, solo uno degli esempi che meglio mostra la natura di paroliere/interprete del nostro Dante, analizzata nel dettaglio, ancora una volta, dalla Dott.ssa Giulia Bonaldi che, negli anni, si è dedicata ad una serie di ricerche sulle “emozioni della Divina Commedia”.
Maraviglia è conoscenza. Timore è consapevolezza
Proseguendo in questa analisi, se il termine maraviglia etimologicamente indica cosa mirabile, eccezionale, inattesa che desta un senso di stupore sconfinante a volte nell’incredulità, Dante, nelle sue opere, pur abbracciando questa definizione, non disdegna di fare esplicito riferimento all’accezione aristotelica del termine in cui l’emozione della meraviglia è strettamente legata alla conoscenza. Essere meravigliati, secondo Dante, è una diretta conseguenza del non conoscere, dell’ignoranza. Anche in questo caso il termine subisce una variazione del significato nel corso del lungo pellegrinare di Dante. Se nell’Inferno la maraviglia si esprime come timore derivato dalla non conoscenza del pellegrino che, gradualmente, prende coscienza della gravità del peccato e progredisce nel suo cammino di espiazione, nel Purgatorio e nel Paradiso l’espressione viene utilizzata maggiormente nell’accezione di stupore e di ammirazione marcando l’ elevarsi dell’uomo verso la sapienza divina.
E ancora, se per timore si intende un sentimento del tutto negativo, indice della prefigurazione di un male futuro, nella Commedia il termine acquisisce un valore etico e teologico del tutto nuovo, identificandolo come un sentimento positivo e costruttivo, che contribuisce all’ accrescimento di consapevolezza da parte di Dante durante il suo pellegrinare. In questo caso il timore corrisponde al latino timor filialis, cioè alla speranza del bene celeste, testimonianza del passaggio prossimo dall’incoscienza alla coscienza.
La lingua è cosa duttile, malleabile, si adatta ai tempi che vive ma può essere plasmata. I migliori a riuscirci sono maestri della penna e del pensiero che, con la loro sapienza, sono in grado di modellare le parole attribuendo nuove sfumature, nuove connotazioni, tutte filtrate dal proprio personale sguardo interpretativo.
In questo anno trascorso, svolto tutto all’insegna dell’opera di Dante, speriamo di aver posto le basi per poter diventare, come Dante, maestri del pensiero. Speriamo che per tutti sia stato un anno all’insegna di queste emozioni, del sorriso, del timore, della meraviglia. E che sia stato così o meno, non possiamo non augurarci di viverle almeno l’anno prossimo.
Speriamo di poter mantenere il sorriso di chi tutto sopporta perché ha sapienza e consapevolezza. Ci auguriamo di poter vivere il timore inteso come ferma speranza dell’arrivo di tempi migliori. Speriamo di poter vivere un nuovo anno all’insegna della maraviglia, del passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza, ovvero un nuovo anno pieno di cultura e scoperte.
Buon Nuovo Anno a tutti.
Fonti Giulia Bonaldi, “«Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca»: il sorriso della conoscenza in Dante e Virgilio dramatis personae”, «Lettere Italiane», LXXI, 1, 2019. Giulia Bonaldi, “Maraviglia e timore: un percorso attraverso i monstra dell’Inferno dantesco”, in Letteratura e dintorni, a cura di Beatrice Alfonzetti, Bulzoni editore, «Studi (e testi) italiani», 37, (2016)