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Pasolini&Dante: una Divina Mimesis.

Unica direzione : la verità.

“Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quell’oscurità, per dire il vero, c’era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce della vecchia verità, se vogliamo, quella davanti a cui non c’è più niente da dire”.

La verità è il sangue del poeta che scorre veloce e limpido nella sua penna sperando di scuotere gli animi: un’onda d’urto pronta a spingere via le menzogne. Era la fine degli anni 50’ – e questa forza dirompente portava il nome di Pier Paolo Pasolini, che nel ’55 pubblicava Ragazzi di Vita. La verità era la sua “missione” – ragion per cui Federico Fellini, esponente del neorealismo cinematografico, ossia la rappresentazione dei drammi sociali e della quotidianità nella sua forma più pura, lo scelse come assistente per la scrittura del film, Le notti di Cabiria (1957).

Pasolini e Fellini durante la scrittura del film Le notti di Cabiria.

La divina Mimesis del poeta contemporaneo.

Ognuno di noi può immaginare per puro edonismo di essere Dante e di vivere la sua avventura, fra alti e bassi che la vita ci propina al fine di “scollarci” dalla versione più prossima di noi stessi per crescere: diventare “altro da sé”. Quando è un brillante poeta lanciato in una dimensione contemporanea neocapitalista, disincantato politicamente e anima gemella artisticamente di Fellini, allora non è più la “fantasia di un quarto d’ora” – e nemmeno una copia, ma un’opera d’arte, almeno quanto l’opera dantesca originale, seppur molto meno conosciuta. La Divina Mimesis di Pasolini risale al 1965 ma verrà pubblicata soltanto, dieci anni dopo.

Opera incompleta e frammentata, che non rispetta la struttura rigorosa della Divina Commedia ma svela un Pasolini affranto, deluso che cerca attraverso l’arte della parola una chiara rappresentazione della propria condizione personale e storica. Agisce principalmente su due piani sequenziali differenti: il primo personale e individuale in cui si il poeta è costretto ad accettare e combattere il proprio dissidio interiore, rispetto alla solitudine e la ripetizione del sé che per propria volontà echeggia la prigionia di Gramsci nelle sue Lettere dal carcere, principale riferimento intellettuale del poeta contemporaneo – e un secondo collettivo e di critica sociale del periodo coevo in cui l’omologazione culturale stava dando vita ad un appiattimento intellettuale. A sua volta, in un contesto storico più che chiaro: un’Italia nei primi anni 60’ – “miracolosa” se la guardiamo da una prospettiva economica, ma che di magico, introspettivamente, ha ben poco, anzi (…)

L’inferno pasoliniano è la rappresentazione dell’oblio dei valori?

“Intorno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita”.  Esattamente come il vate fiorentino, anche Pasolini si addentra immediatamente nella dimensione “scomoda” e bestiale quale l’inferno, ma all’incirca quarantenne e accompagnato da un doppio se stesso di qualche tempo prima. Quando la delusione non aveva ancora preso il sopravvento, incantato dal mito e dalla possibilità di un miglioramento politico senza “inciampare” nell’utopia, presagio del fallimento. Questo “doppio” rappresentato dal “poeta civile” degli anni 50’ – ormai lontano, e non solo cronologicamente – evoca la sconfitta dei propri ideali. La generazione di Pasolini è politicamente e socialmente ridotta a “un’ombra, una sopravvivenza” – l’inferno è la metafora dell’ascesa del Capitalismo in una dimensione laica, “senza un Dio” – condizione esistenziale ridotta allo stremo e che trova nella sua realizzazione, un mezzo per superare la realtà.

In conclusione, Pasolini imita Dante per poi distaccarsene quando commenta diventando pura critica: si attraversa l’ipertestualità, si aprono gli orizzonti dell’opera imitata, facendo in modo che scaturisca come una naturale reazione, un’opera nuova totalmente. Quindi la Divina Mimesis è opera fondamentale per lo sviluppo della poetica di Pasolini, poiché dopo si addentrerà in Salò, “infernale” e di grande rilevanza artistica: da ciò si evince la maturità poetica di un Pasolini ormai giunto al punto più alto della propria realizzazione artistica.

Il dissidio interiore figurativo di Pasolini : Io contro Io.

Le radici dell’ispirazione pasoliniana : Erich Auerbach

Erich Auerbach assieme agli altri due grandi filologi tedeschi Ernst Robert Curtius e Leo Spitzer è considerato uno dei maestri della moderna stilistica, fondamentale corrente della critica letteraria del secondo Novecento. Critico che scopre il meccanismo che soprassiede alla Divina Commedia nei suoi Studi su Dante. Ma il riferimento del poeta, il libro di Auerbach che Pasolini teneva in tasca durante il suo apprendistato con Fellini, fu “Mimesis. Il realismo nella cultura occidentale“. L’opera, scritta durante la Seconda guerra Mondiale a Istambul, dove lo studioso era riparato in seguito alle leggi razziali, è un fondamentale volume di analisi della letteratura europea alla luce del concetto di realismo, che al contempo indaga e definisce il concetto stesso di realismo alla luce delle sue manifestazioni letterarie.

 

Copertina dell’opera di Auerbach.

Pasolini, nonostante le differenze con il filologo tedesco, lo adotterà non solo come guida per comprendere internamente la struttura dell’opera del vate fiorentino, ma anche perché la simbologia medievale attraverso Auerbach diventa fonte inesauribile di creatività spendibile cinematograficamente. Dallo studio della Mimesis di Auerbach emerge una domanda fondamentale: come possiamo approcciarci al realismo senza incorrere nel materialismo becero? Su questo Pasolini si interrogherà a lungo durante la scrittura della sua Divina Mimesis.

Erich Auerbach

Pasolini e Dante: un confronto che dovrebbe tornare di moda.

La Divina Mimesis, opera frammentata e incompleta, segna inevitabilmente l’uomo moderno. Dal 1963 Pasolini tornò a lavorarci saltuariamente per il resto della sua vita, parallelamente ad un altro lavoro fondamentale, ossia, Petrolio; appunti e pagine manoscritte furono ritrovate anche nella macchina nel luogo dell’omicidio e nelle stesse tasche del cadavere dell’autore. Durante l’anno appena trascorso, in memoria dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, cosa manca per rievocare ulteriormente Dante in rapporto con l’uomo che lottò contro le trasformazioni sociali e culturali degli anni 60?

In attesa di una riposta univoca, i versi di Pasolini e Dante, come sempre ci trasporteranno temporaneamente in una dimensione sospesa, a metà fra sogno e realtà.

Bibliografia :

Pasolini, La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1975; Nuova ed. con una nota introduttiva di Walter Siti, Einaudi, 1993; nuova ed.

E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale.

Erich Auerbach , Studi su Dante (Dante als Dichter der irdischen Welt), Feltrinelli, 2017

Maria Sabrina Titone, Cantiche del Novecento, Dante nell’opera di Luzi e Pasolini, L. S. Olschki, 2001

Gilberto Lonardi , Con Dante fra i moderni, dall’Alfieri a Pasolini, Aemme, 2009 

Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, 1977.

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