Ovvero come la mostra sulle artiste del primo ‘900 romano ci fa scoprire meraviglie a Villa Torlonia e riaccendere non desuete questioni a Piazza San Domenico
Tu dimmi quando, quando.
– Domani vado a Roma. Vado a vedere una mostra, sulle artiste donne attive nella capitale nella prima metà del Novecento.
È solo un modo per ravvivare la conversazione che langue tra ruhm e long drinks. Eppure basta nominare la tematica femminile – manco femminista – per accendere gli spiriti amici che stan condividendo con te il bicchiere della staffa, a piazza San Domenico, in un caldo lunedì notte di fine luglio napoletano dell’anno 2024.
– Io mi chiedo semplicemente – dice l’amico di lunga data – quando succederà che si faranno mostre senza la necessità della, pur legittima, rivendicazione di genere.
Parla bene, l’amico, con subordinate e ordinate, è un piacere sentir frasi a tal punto articolate e al contempo sintetiche.
Cosa puoi rispondere?
Le guerreggianti fanciulle degli anni ’70 avrebbero stigmatizzato ogni tassello della sua costruzione linguistica. “Pur legittima rivendicazione”?! Questo è paternalismo, avrebbero detto: il colonialista che con una pacca sulla spalla ti dice, salpando dopo averti saccheggiato terra e beni, che in fondo sì, anche tu hai il diritto di reclamare qualche diritto – “te lo concedo, bambina”.
Ma siamo nel 2024. E molti passi sono stati fatti anche da noi femminucce, in questo senso. Si sorvola sulle provocazioni, soprattutto quando, come forse in questo caso, sono del tutto inconsce, oppure quando – e crediamo sia questo il caso – sono ironicamente consapevoli.
Non possiamo passare oltre? – ti sta chiedendo il maschio adulto, cosciente, non maschilista, che ha assimilato la storia del femminismo e delle sue ragioni.
Cosa puoi rispondere?
La mossa più intelligente, come sempre, è: attieniti al testo. Prendi la domanda in senso diretto, non trattarla come retorica maschilista o post-maschilista, ma come una domanda vera e propria: quando succederà? Quando le donne non dovranno più mettere in rilievo il fatto che si stanno facendo, si stanno programmando, si stanno andando a vedere, si sono appena viste delle mostre dedicate alle artiste donne?
Quando?
La risposta è semplice: succederà quando non sarà più necessario parlare di artiste specificandone il genere. Quando non potremo più stupire i nostri interlocutori, tra un ruhm e un gin tonic, con alcuni dati stupefacenti per entrambi i sessi.
Ad esempio, i dati delle date:
prima mostra dedicata alle artiste donne nel mondo? 1976.
E poi?
Prima mostra italiana dedicata alle artiste donne? 1980.
Specifica, sulle donne nelle avanguardie storiche.
E poi?
Una mostra sulle artiste dal Rinascimento al Surrealismo, nel 2007.
E poi?
E poi una mostra, la prima, sulle artiste donne italiane, tra il ‘500 e il ‘600: nel 2021.
Perdonateci dunque o voi, cari uomini, o donne, o chiunque voi siate: voi, che avete fretta di lasciare al passato remoto, un po’ primitivo, i discorsi di genere.
Forse qualcosa da esplorare ancora c’è.
– Va bene, ma il mio discorso, lungi dal voler declassare l’arte delle donne, vorrebbe giungere a un punto in cui non dovrebbe più essere necessario specificare il genere perché certe opere dovrebbero essere note quanto altre in base non a questioni di genere ma …
Lui ha ragione. Ha perfettamente ragione. Ma io sono per sempre, nella storia concreta di questa nazione, la figlia di una ragazza che nel 1974 andò a chiedere la tesi di laurea a un luminare della storia dell’arte a Torino, sulle donne artiste, e si sentì rispondere: signorina, quali donne artiste? Non ci sono state donne artiste, nella storia.
E a Roma, il giorno dopo, la figlia di quella ragazza scoprirà che quasi tutte le artiste esposte sono morte tra il 1974 e il 1977: mentre un professore di Torino negava la loro esistenza.
Vogliamo dunque – questa è la domanda – che senza troppe perplessità preconcette prosegua il cammino per poterle scoprire, queste artiste? Sì. E siccome la nostra rivista è solo una delle finestre da cui poter far entrare un po’ d’aria fresca in queste stanze, siamo liete e onorate di fare il piccolo nostro.
Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine
Premessa e prima parte: audioguide e primi passi
Premetto che si tratta di una mostra generosa, nel senso che la massima parte dell’apparato critico-storico che la accompagna è facilmente fruibile online: basta collegarsi alla pagina dedicata all’esposizione per poter ascoltare le biografie delle ventisei artiste esposte e le introduzioni alle sei sezioni che formano le tappe di questo percorso. La voce narrante maschile, precisa e quasi neutrale, ci presenta nella prima tappa l’idea generale della mostra, mentre stiamo guardando una teca che contiene fotografie, libri, stralci di lettere delle signore che andremo a conoscere a breve.
Incuriosite dalla pagina di una lettera inquadriamo il qrcode che presenta Katy Castellucci (di cui manca la pagina Wikipedia, ma le è stata dedicata una mostra a Villa Torlonia nel 2021) e poi quello dedicato a Evangelina Alciati (pagina Wikipedia, presente!).
La voce narrante questa volta è femminile ed è vagamente e piacevolmente retrò, possiede il ritmo e la profondità di un’epoca che, per quanto ampia – dagli anni Dieci agli anni Cinquanta del secolo scorso – ci rimanda a un’esistenza autenticamente privata, aliena dalla costante e invasiva condivisione contemporanea. Un’epoca in cui l’interazione con le macchine era all’insegna della meccanica e non dell’elettronica, in cui gli schermi – luminosi o black mirror che siano – non erano ancora i nostri grandi e piccoli, pervasivi fratelli.
Parte seconda: vai col FU_TU_RI_S_MO!
(sezione 👉 ATTRAVERSO IL FUTURISMO)
Un’epoca in cui la novità del motoscafo ispirava versi come questi:
e un quadro così:
Sì, stiamo parlando della moglie di Tommaso Marinetti. Come si chiamava? Non lo sappiamo? È grave, professore, è molto grave. La signora era anche torinese! Male, molto male. Lo dico per lei. Perché il quadro è bellissimo, e i versi anche, e sono stupende anche le illustrazioni – o meglio le Sintesi Grafiche – che la signora fece per il libro Le Forze umane, nel 1924.
Ad esempio, l’io ottimista tra le rotaie del pessimismo, per vedere il quale ci dovremo accontentare delle fotografie non geniali della sottoscritta:
anche perché, se cerchiamo il titolo online nella speranza di ricavarne qualcosa, otteniamo questo:
Come ci spiega il narratore della successiva sezione, dopo questo delirio futurista dovremmo tornare all’ordine, ma invece ci perdiamo con immensa gioia in una “mostra nella mostra”: i tredici pannelli dedicati alla storia del Re David mai realizzati da un’altra artista mai esistita e mai nata a Budapest e che mai si chiamò Růžena Zátková, e che mai fece un famosissimo ritratto di Marinetti.
Va bene, la smetto con il gioco della provocazione. Parliamo di questa serie meravigliosa dedicata alla storia biblica del re David, e dell’affascinante e ardita messa in mostra dei 13 pannelli fronte-retro, coloratissimi, in folle equilibrio tra aereoscrittura e arazzo medievale, inseriti nel contesto di una stanza dal pavimento mosaicato e dalle pareti dipinte con scene di pesca e di caccia … vertigine.
Di cui è disponibile un’assaggio nel video che segue. Press play!
In sequenza rapida, la sala + dettagli+pannelli+dettaglio+ecc+aperta e chiusa parentesi di T. Marinetti
[Chi legge l’inglese, cliccando sulle immagini seguenti potrà leggere un articolo dedicato alla recente scoperta di guaches di Natalia Goncharova dedicate a Růžena Zátková, raccontata anche da Anna Maria Panzera (che affronta anche l’amata Claudel e l’amato Caravaggio) quando, in epoca pre-covid, scriveva della riscoperta di questa meravigliosa artista e del libro a lei dedicato di Marina Giorgini.
(Abbiamo ripetuto tre volte la parola “dedicato” perché la dedizione è qualità tutta femminile, come ci insegnavano nell’Ottocento …)]
Parte terza: Uova metafisiche e palazzi a pezzi per sopportare gli anni neri
(sezione 👉 LINGUAGGI DEL QUOTIDIANO TRA METAFISICA E RITORNO ALL’ORDINE
e sezione 👉 ALTRI REALISMI)
E ora basta, facciamo un po’ di silenzio.
Riflettiamo con calma sul senso della vita.
Pane e acqua, Uova fresche.
Edita Broglio ci conquista con la sua storia, le sue prime opere e lo sviluppo verso la pittura metafisica, le sue immersioni nell’arte italiana del Trecento e del Quattrocento, come il “ritorno all’ordine” ordinava, sorretta da Savinio (il fratello geniale e giocoso di De Chirico), e i suoi ondeggiamenti verso il realismo magico degli anni Trenta.
Insieme al marito fonda la rivista Valori Plastici, di fondamentale importanza per l’arte italiana, e non solo, a venire.
Espone alla quadriennale, con pseudonimo maschile. (Ma noi abbiamo detto che superiamo le provocazioni della storia, giusto?)
Il suo quadro Uova Fresche va visto – anzi, direi “ascoltato” – dal vivo.
Per affrontare la prossima artista, useremo come liana un maestro del ‘900, Giorgio Morandi, e come Tarzan a cui aggrapparci il solidissimo Federico Zeri, che nel suo La percezione visiva dell’Italia e degli italiani pubblicato da Einaudi nel 1976 metteva in luce le silenziose strade attraverso cui gli italiani parlavano quando erano messi a tacere dalla dittatura:
…tuttavia, l’Italia non fascista, i suoi umori e i suoi sentimenti sono ben vivi nelle opere di molti artisti, esprimendosi per via indiretta nei paesaggi di Giorgio Morandi … nelle “Demolizioni” di Mario Mafai, vere e proprie elegie sul tema dei quartieri di Roma distrutti e squarciati dall’urbanistica littoria … (Federico Zeri)
Mario Mafai non è però il solo a dipingere, nel 1936, “gli abbattimenti effettuati in Roma durante i primi anni del regime fascista … secondo una progettazione urbanistica sottomessa ai sogni di grandiosità del regime”: in mostra troviamo due “Demolizioni” – mi si perdoni il gioco di parole – di mano femminile, quelle di Eva Quajotto. Non so dire se i due artisti abbiano lavorato di concerto ma mi sembra davvero che le due opere presenti in mostra, Demolizioni a Piazza Navona e Demolizioni all’Augusteo, diano ragione a Federico Zeri:
Vorremmo raccontarle tutte, le donne esposte: le fauves, le matissiane, le metafisiche, le simboliste, le realiste – e anche far vedere altri quadri di artiste che già abbiamo citato o che non abbiamo avuto occasione di nominare – ma le avviciniamo e avvicendiamo l’una all’altra qui, non perché siano minori, anzi, ma per invitare chi legge a venir a vedere la mostra dal vivo, mentre questo articolo s’avvicina all’ultima tappa.
Press Play!
Parte quarta: altre liane, nuove inquietudini, uomini, donne.
(sezione 👉 LINGUAGGI DEL QUOTIDIANO TRA METAFISICA E RITORNO ALL’ORDINE
e sezione 👉 NELLO SGUARDO DI GHITTA CARELL)
Aggrappiamoci nuovamente al nostro Tarzan Federico Zeri per farci catapultare nell’arte di de Chirico, altissimo maestro legato alla rivista Valori Plastici, per comprendere come la raffigurazione del quotidiano fosse in diretta controtendenza con la retorica del ventennio
… il fatto più alto della pittura italiana di questo secolo, come è la pittura metafisica di Giorgio de Chirico … segna la rinascita, in una sfera mai esplorata, dell’Italia percepita secondo l’accezione classica … nelle Piazze d’Italia di De Chirico le divinità dell’Olimpo sono morte, scomparse, ma il clima di mistero si sprigiona con inquietante intensità dalle arcate dei portici, dalle ombre, dal silenzio rotto dal fischio di un treno o dal correre della bambina che gioca col cerchio … Esorcizzata e depurata delle scorie retoriche (e specie da quelle, estremamente nocive, di accezione nazionalistica), la percezione dell’Italia secondo l’accordo classico è riemersa in una nuova sfera visiva, quale pittura di puro pensiero …
Il realismo rivela nella mostra questa sua anima inquieta, quasi fantastica, densa di simbolismo anche ne La Lettura di Marisa Mori: una tela dipinta su entrambi i lati che molto mi colpisce. Sarà che, come si dice al Nord, mi “impiccio” di teatro. Sarà che la Mori è una lontana discendente di Gian Lorenzo Bernini, che è cosa che pochi possono dire di sé. Sarà che è stata anche scenografa e ha partecipato molto attivamente al Futurismo creando uno dei capolavori dell’avanguardia ovvero l’Aviatrice addormentata …
(professore, stia sereno, non la chiamerò più in causa, ma si tratta di un quadro davvero splendido, qui esposto affianco al motoscafo della Cappa-Marinetti di cui sopra, con effetti stra-tra-tra-travolgenti e sognanti al con-tempo)
E sarà che per la Cucina futurista di Marinetti e Fillia ha inventato la simpaticissima ricetta del dessert Le mammelle italiane al sole: due semisfere di marzapane sormontate da fragole e adagiate su uno strato di panna e crema allo zabaione – una ricetta, che oggi chiameremmo mise-en-place e che potremmo trovarci davanti in qualsiasi ristorante con un occhio attento all’estetica, ma che all’epoca era del tuttto innovativa!
Ma sarà soprattutto a colpirmi che, non felice della virata fascistissima del Marinetti, Marisa Mori decise di staccarsi dalla ciurma futurista, arrivando a ospitare e salvare dalle leggi razziali un’altra donnina di nome Rita Levi Montalcini.
A volte, accogliere chi è inviso ad un regime è la forma più intelligente e umana per combatterlo.
L’allestimento dell’intera mostra è ricco di suggestioni e rimandi tra le opere, e sarà anche per questa collocazione così perfetta che le due fanciulle immerse in un libro ci hanno catturato:
Di Marisa Mori raccontiamo dunque con le nostre pessime immagini questa tela molto strana, La Lettura, che da un lato raffigura un momento quotidiano – ma come sospeso nel tempo e probabilmente denso di allusioni all’arte classica – e dall’altro una figura teatrale, che pare quasi aver ispirato, attraverso i mondi paralleli e le comunicazioni telepatiche degli artisti, le tavole animate di Miyazaki. Press Play!
Vi siete spaventati!? Altro che IT.
A proposito di horror italiano, la mostra si conclude con una breve ma folgorante sezione dedicata a Ghitta Carell, di cui consiglio di leggere approfonditamente la biografia che noi, per ragioni di spazio, dobbiamo riassumere così: una fanciulla ungherese ed ebrea che negli anni Trenta conquista l’aristocrazia e l’altissima borghesia italiana grazie ai suoi stilosissimi e intelligenti ritratti fotografici e grazie all’amicizia di due donne di gran peso nel mondo dell’arte e della politica, Margherita Sarfatti e Edda Ciano Mussolini. La Carell realizza molti ritratti del Duce, compreso quello che è qui così perfettamente affiancato alla figlia in abito da infermiera, finché nel ’38 con le leggi razziali dovrà – come dire? – uscire di scena.
Ma poiché non bisogna chiudere sulle note più basse, ecco venirci in soccorso un’altra coppia, tra le preferite di chi, come si dice al Nord, si “impiccia” di arte, di donne, e di genio.
Il “lui” di questa coppia è tra i più grandi critici d’arte mondiali del Novecento, l’uomo che scoprì Caravaggio e grazie al quale tutti lo conosciamo, e che con la sua penna immaginifica scriveva righe così:
Ma ciò che gli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante ch’egli intravedeva dopo le calme specchiature dell’adolescenza. E la storia della religione, di cui ora si impadroniva, gli tornava come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi nella durata sentimentale delle trasparenze, anzi inevitabilmente s’investe del lampo abrupto della luce rivelante, fra gli strappi inconoscibili dell’ombra. Uomini e santi si sarebbero impigliati in quel tragico scherzo.
Che linguaggio, che meraviglia. Infatti lei, lei che un paio di sale prima abbiamo incontrato in un ritratto di Adriana Pincherle …
… lei, dicevamo, di lui diceva:
…non ero fatta per la storia dell’arte. Non è stato un male cambiare campo. Anche perché visto che c’era già [lui] a fare il critico così bene, non mi pareva ci fosse bisogno di un’altra a fare la stessa cosa molto meno bene. Lui era un genio della critica d’arte, io sarei stata una normale storica dell’arte. Anche se qualche intuizione, in questo campo, l’ho avuta
Ecco, lei, lei che tanto modesta pare in queste parole, è stata, dal nostro punto di vista, un vero e proprio genio.
Prima di tutto ha usato uno pseudonimo. Ma non per evitare di chiamarsi “la signora X”, che già sarebbe stato un bel motivo. Ma semplicemente perché il suo nome da ragazza non le era mai piaciuto:
… non mi piaceva. Non è abbastanza musicale. [ha scelto invece il nome di ] una parente della famiglia di mia madre. Una nobildonna molto elegante, molto misteriosa. Da bambina mi aveva incuriosita parecchio … Del resto il nome ce lo facciamo noi. Non è detto che siamo tutta la vita il nome della nostra nascita … Avevo bisogno di un nome del tutto diverso che s’imponesse a me stessa, segreto e autoritario. Da “Infanta di Spagna”, fantasticavo.
E lei, poi, non è solo una scrittrice di altissima classe, ma è anche colei che, mentre il marito scopriva Caravaggio, scopriva Artemisia.
(Che non è poco. Ché diciamoci la verità, Caravaggio prima o poi qualcuno l’avrebbe riscoperto, nel Novecento. Ma Artemisia?)
E contemporaneamente inventava un nuovo modo di raccontare la biografia di un’artista, in un romanzo modernista e a tratti post, tutto femminile, mettendocisi mani e piedi dentro, evitando la narrazione onniscente e palesando al contrario il rapporto telepatico, ossessivo, fantastico, intimo, cosmico, che una scrittrice può intrecciare con la protagonista storica del suo libro. Nel romanzo, l’autrice è presente, è davanti agli occhi del lettore a chiedere ad Artemisia di risponderle, di spiegarle le pieghe nascoste della sua storia, ammette di immaginare e al contempo acquista, con questo dialogo aperto, di fragilità a confronto, autorevolezza e dignità.
Ma non ditelo troppo forte, è un 👉 segreto tra donne.
E allora, ringraziando i curatori della mostra* e gli enti che l’hanno resa possibile**, e ringraziandoli anche per il catalogo dettagliatissimo*** in cui – grazie, grazie – sono presenti tutte le opere in mostra e un saggio iniziale che mette in luce gli snodi fondamentali dello studio dell’arte al femminile in Italia … ringraziando anche voi, che in questa estate caldissima state davanti al ventilatore a leggere Artemisia nella nuova edizione a cura di Daniela Brogi, o state correndo a Villa Torlonia per vedere Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine, chiudiamo proprio con le ultime immagini in mostra, i ritratti fotografici che Ghitta Carell scattò al principio degli anni Trenta a Roberto Longhi e Anna Banti insieme ai loro due irrequieti pupilli, le cui creazioni tuttora ci interrogano, tra Roma e Napoli, arte, vita, giustizia e libertà, realtà, verità.
*, ** e ***
Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione
Recensioni alla mostra online
(attendiamo altre segnalazioni e ci scusiamo per non averle sicuramente incluse tutte):
👉Edoardo Sassi su roma.corriere.it
👉Edoardo Iacolucci su Lacapitale.it
👉Franca Zoccoli su Exibart.com
👉Francesca Romana Morelli su Ilgiornaledellarte.com
👉Laura Gigliotti su Quotidianoarte.it
Ah, si. A Londra stanno esponendo me e altre artiste donne.
è proprio una fissazione quest’anno!