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Noci e nocillo, tra sogno e destino

Un racconto di Nino Leone per il primo compleanno di Museodivino

Buon compleanno Museodivino! Iniziamo questa giornata di festeggiamenti con un graditissimo regalo del caro Nino Leone , che poco prima della chiusura di marzo ha incantato gli ospiti del museo con i suoi studi sul Carnevale. Oggi condivide con noi il dolce e fiabesco amarcord della notte di San Giovanni: la raccolta delle noci, i sogni per il futuro. Proprio per questa tradizione fu scelta la data del 24 giugno per inaugurare il museo un anno fa, in omaggio alla straordinaria Divina Commedia in guscio di noce qui custodita . Dalle 16.30 porte aperte al Museodivino, vi aspettiamo!

La Divina Commedia in guscio di noce custodita al Museodivino

Nocillo di San Giovanni, che sarà di me?

“Il 24 giugno, solstizio d’estate e per la tradizione cristiana ricorrenza di San Giovanni Battista, è sempre stata una giornata, e una nottata, particolare. A questa giornata e al santo, fin dai tempi più antichi, sono stati dedicati riti e manifestazioni dai molti significati in ogni paese. Festeggiamenti pubblici e privati, divinazioni, fuochi, cresime di massa e nocino: San Giovanni ha imperturbabilmente mostrare di gradire.
Gradevole sorpresa arrivare a Modena e scoprire anche lì, un consolidata devozione verso il liquore di noci di cui, alcune farmacie del centro e soprattutto antichi negozi di coloniali fuori città, – di quelle che ancora sentono di vaniglia e cannella – a dispetto delle più moderne tecniche, continuano, con meticolosa e certosina pazienza, a preparare la ricetta pestando gli ingredienti per conciare l’infuso in tintinnanti mortai di bronzo. 
Per un buon nocino, è d’obbligo perpetuare anche il rito suo rito e annesse liturgie, benché presto saranno non più necessarie. 
La levata è prima delle cinque, immersi nell’odore fortissimo di stoppie secche, per portarsi subito al “pasteno” delle noci, col sole radente sulle foglie più larghe magicamente trasformate, con un abile intreccio degli steli in un ampio cappello. Ventitré teneri malli di noci nuove, tanti ne occorrono per insaporire un buon litro di spirito, ma non ci giurerei sul numero: la biodiversità antropologica italiana dice perfino ventissette. Sembrano pochi, eppure non cadono così velocemente nel sacchetto come si desidererebbe: bisogna saltare, abbrancare, sfrascare e, se possibile, non fare troppo danno alla pianta e ad altre colture. 
Solo così prima di mezzogiorno potranno finire a tranci nell’alcool e lasciarsi consumare per quaranta giorni scaricando tra iodio e sole una mistura capace di annerire San Giovanni, anima e barba. Eh già, sarà l’autunno ad amalgamare la volatilità dell’alcool con le fragranze di chiodi di garofano e cannella, zucchero e caffeina. Ci penserà infine l’inverno a far scendere di livello la bottiglia; a far rimpiangere l’infuso dell’anno prima, a mettere buona speranza in quello del prossimo.

Ci penserà infine l’inverno a far scendere di livello la bottiglia …

Il rito di San Giovanni

Fino a ieri, per questa notte, era anche tradizione mettere «alla serena», cioè all’umido della notte, una brocca di vetro colma d’acqua; dentro si versava del bianco d’uovo o del piombo fuso. Di mattina, il primo pensiero, e nessuno avrebbe potuto impedirlo, era per la brocca: tutti di corsa, a spiare il risultato. Eppure, quell’ieri era un tempo senza troppi mezzi di comunicazione, e soprattutto senza i ripetitivi fotoromanzi della televisione, e poiché gli uomini non sanno vivere senza storie, ci furono tempi in cui ognuno se le fabbricava con i mezzi che poteva.
Ne correvano di avventure davanti al naso schiacciato contro il vetro di caraffe barocche nella speranza di afferrare con l’ingenuità di uno sguardo, in una battuta di ciglia, il fascino e persino l’ombra dell’insondabile mistero che attraversava la mente, e si perdeva dietro le sartie e le vele che l’albume, all’insaputa di tutti ma con l’aiuto di San Giovanni, aveva saputo intrecciare durante la notte. Su quella barca sfocata, varata senza nome, se ne andavano i sogni di molti, grandi e piccoli, e a seconda di chi leggeva, si lenivano passioni, si sopivano angosce: il figlio sotto il militare, la figlia emigrata in Argentina, il fidanzato che tarda a trovare, la penultima di casa, la più malandrina, la bonafficiata mancata per un numero. 
Il rito era semplice, ma carico di significati, e insegnava anche a chi era piccolo a riflettere e interrogarsi sul futuro, a prendervi la dovuta confidenza, a pensare al domani come a un lungo, possibile e sopportabile sogno. Tutto sommato serviva a sdrammatizzare tutto sommato, le ambasce della vita affidandole alla vela del tempo e, perché no, alla protezione del Santo…
Eppure la cosa non sempre è stata proficua.

… le sartie e le vele che l’albume, all’insaputa di tutti ma con l’aiuto di San Giovanni, aveva saputo intrecciare durante la notte …

Che la festa abbia inizio!

C’è stato un periodo nella storia di Napoli in cui per questa giornata si organizzavano in città grandi festeggiamenti con fervida e massiccia partecipazione popolare, come sempre si è contraddistinto lo spirito partenopeo.
Al tempo in cui la città era amministrata da Piazze e Sedili, l’Eletto del Popolo indiceva a nome del “sieggio pittato”, espressione appropriatamente colorata per indicare il Sedile del Popolo, una grande festa ricca di cibarie e celebrazioni, con carri allegorici e ingegnosi altari cittadini, e riceveva in pompa magna il viceré «come in propria dimora». Cavalcando al suo fianco, insieme a lui visitava gli «istraordinari e magnifici apparati», le allegorie delle quattro stagioni. «Alle piazza Larga vi era un giardino con fiori e fontane che rappresentava la primavera; alla Sellaria un palazzo con giardino, con frutta e peschiera per l’estate; al Pendino, per la vendemmia vi erano uomini in veste di vendemmiatori che motteggiavano le dame di passaggio: erano la raffigurazione dell’autunno, mentre per l’inverno vi erano alla porta del Vino macellai che facevano vista di uccidere maiali e fabbricare salsicce». 
Sotto i moti, durante la visita del duca di Medina alla festa approntata «dall’eletto Nauclerio con più solenne apparato del solito, per dare a vedere che il popolo della città stava pago e contento del governo del duca», nel mezzo della parata, il viceré a cavallo, la viceregina in seggetta, si scatenò un temporale di tale violenza che tornarono a palazzo inzuppati fradici. Per la stessa festa, ogni sei anni si ergeva un catafalco a memoria dell’antico sedile del popolo fatto distruggere dagli aragonesi. Anche questa era un’occasione per giostre, giuochi «di lance all’anello» e grandi tavolate in cui «i cuochi spiumavano oche, scannavano maiali, scorticavano capretti, lardellavano arrosti, schiumavano pentole, battevano polpette, imbottivano capponi e facevano mille bocconi ghiotti».

I nostri libri preferiti di Nino Leone, accompagnati dall’immagine di un presepe del Museodivino: in calice, per brindare, e decorato come di lava del Vesuvio!

Ringraziamo ancora Nino Leone per il suo racconto, e auguriamo a tutti gli amici del Museodivino una buona festa … Vi aspettiamo nel guscio di una noce!

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