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Dante, il Sakè e i capelli di Venere

Tra manoscritti del Trecento e ultimissime tecnologie digitali, due giorni di immersione nella Divina Commedia in finale d’anno dantesco, allegri postumi inclusi. Parte 1.

Si dia inizio alle danze!

Il titolo del convegno è geniale: Postumi del Centenario. Gli studiosi che si occupano della Divina Commedia e dell’opera di Dante Alighieri leggendolo sorridono subito con piacere – ci si riconosce in questa definizione ironica e precisa al contempo, che rende ragione dell’”ubriacatura” di un lunghissimo 2021, forse solo ora giunto davvero a conclusione lasciandoci storditi e con un po’ di mal di testa non del tutto sgradevole. Le celebrazioni per il settecentenario della morte del poeta hanno infatti dato vita a decine di migliaia di eventi in tutto il mondo, di ogni natura e qualità, in ogni ambito delle attività umane, dai fatti prettamente letterari, poetici e artistici fino a iniziative gastronomiche e sportive, giungendo persino su altri pianeti. Noi stesse di Museodivino abbiamo provato a dare una mappatura del tutto lacunosa e arbitraria di questa grande varietà con la Guida Interstellare per autostoppisti danteschi, articolo che, dopo innumerevoli aggiornamenti, ci ha infine convinto della sua natura inevitabilmente frammentaria e incompiuta.

Il cosmo delle iniziative dantesche del 2021
la volta della chiesa di San Marcellino e Festo ospite dei Postumi

Ma al contrario dell’immenso e dispersivo mondo virtuale, grazie al Cielo la vita concreta ha dei limiti di tempo e spazio – e così, il fatto di trovarci a Napoli, a due passi da uno dei centri più vivi di studi sulla Divina Commedia, ci ha posto nella fortunata condizione di poter partecipare alla due giorni “Postumi Danteschi”, un convegno ricco di stimoli anche per i non addetti ai lavori.

Postumi sì, ma dell’intelletto

L’organizzatore, Gennaro Ferrante, ricercatore all’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, è l’ideatore nel 2015 dell’Illuminated Dante Project, un archivio digitale dei manoscritti miniati della Commedia. Gli enti e i relatori coinvolti si dedicano soprattutto alla scoperta e allo studio di quella grandissima produzione di libri danteschi ricopiati a mano, e talvolta a mano illustrati, che hanno traghettato il nostro capolavoro dalla morte di Dante nel 1321 fino alla prima copia a stampa.

Il logo dell’Illuminated Dante Project, elegante e serissimo
(ma aspettate a vedere il poster di questo convegno …)

Perché i libri, come dicevamo appunto nella nostra Guida Intergalattica, sono infatti prima di tutto oggetti: oggetti concreti che vengono letti, copiati, stampati, spostati, annotati, maneggiati a volte con cura e a volte in modo assurdo. Su questo aspetto della Divina Commedia si sono concentrati gli interventi di questi due giorni. Il Museodivino – ligio al suo proposito di essere centro di “divulgazione alta” – vi propone ora un brevissimo riassunto di quel che ogni relatore ci ha raccontato: per come l’abbiamo capito ma, soprattutto, per come abbiamo sentito quanto, anche se non ci occupiamo di manoscritti trecenteschi, ogni frammento di questi studi possa davvero essere importante per ognuno di noi.

Pronti, partenza, via …

Il poster super-pop dei postumi danteschi

Postumi del Centenario – Per un approccio integrato e digitale degli studi testuali, librari e iconografici sulla Commedia di Dante Postumi del Centenario

1° giorno, 26 aprile 2022, prima parte.

Mattina.

Iniziamo subito male: arriviamo in ritardo e perdiamo i saluti d’inizio convegno.

Ma non è grave: tutto il convegno è online e potremo godercelo a posteriori (lettore, sei ancora in tempo per saltare questo articolo e guardare direttamente il video degli interventi!)

Premessa: Eden o non Eden?

Ma dal vivo possiamo assistere, nella splendida cornice della Chiesa dei SS. Marcellino e Festo alla lectio magistralis d’inaugurazione del professore Alessandro ScafiDante e la tradizione medievale di un paradiso in terra” . Docente presso il Warburg Institute di Londra di Medieval and Renaissance Cultural History, e autore tra le altre pubblicazioni di Mapping Paradise: A History of Heaven on Earth  (che ricostruisce la storia della cartografia del Paradiso Terrestre dai primi secoli della cristianità fino al terzo millennio) il professor Scafi ci ha guidato attraverso i secoli alla scoperta di quegli indizi sparsi nei testi sacri, nelle glosse dei teologi e dei filosofi, e nei mappamondi dei geografi, che Dante potrebbe aver consultato per “reinventare” il suo Paradiso Terrestre.

il volume del prof. Scafi che ci guida nel mondo delle Mappe del Paradiso Terrestre

Dove e quando, per me pari sono…

Perché l’Eden della Divina Commedia sta in mezzo all’Oceano?

Come gli è venuto in mente di piazzarla lì?

È un luogo allegorico o uno spazio fisico?

… insomma, Dante credeva davvero che esistesse la montagna del Purgatorio?

Per rispondere a queste domande abbiamo risalito le correnti del tempo fino alla Genesi, dove l’espressione ebraica miq-qedem (che qualifica la creazione del giardino delle delizie destinato ad Adamo ed Eva) non può essere tradotta precisamente poiché mescola in sé tempo e spazio – un po’ come dire: “al confine del tempo”, o “nei primi istanti dello spazio” … in greco e poi in latino, questa poetica mescolanza si è trasformata nell’Oriente, dove sorge il sole e inizia il giorno: lì, secondo gli interpreti della Genesi, si deve quindi trovare il Paradiso Terrestre. Sempre che si tratti di un luogo vero: tra gli stessi teologi cui Dante si ispira ci fu gran discussione – “è una figurazione allegorica”, “no, è un posto vero e proprio”, “ma come, Dio mica è un giardiniere che cammina tra gli alberi davvero!”, “ma se è solo un’allegoria allora il nostro corpo è proprio solo frutto del peccato” … domande dunque solo apparentemente oziose, perché al contrario arrivavano a definire il rapporto tra anima e corpo, tra simbolo e realtà, tra peccato e redenzione.

Primo test: dov’è il Paradiso Terrestre in questa immagine?
Mappamondo del Salterio, Londra, c. 1265. Londra, British Library, Add. MS 28681. Fol 9r.
vi diamo un indizio con la nostra consueta lente d’ingrandimento …

Dante studia tutto questo, e poi lo fa suo (come sempre), porgendo le proprie risposte non come tesi teologiche e morali, ma come ritmi, immagini e poesia. Non per nulla, il professor Scafi ha diviso il suo incontro in due parti, una dedicata al “terreno” – le concezioni e le rappresentazioni cartografiche del Paradiso Terrestre nel Medioevo – e la seconda al “fiore” – l’Eden cantato da Dante, da questo terreno sbocciato come creatura di nuova e peculiare bellezza.

Perché l’Eden secondo Dante, come per i suoi contemporanei, c’è, eccome. È un luogo fisico che si pensava potesse essere nell’Estremo Oriente e che Dante situava in cima alla montagna-isola del Purgatorio, circondata da un oceano innavigabile, e posta a sud dell’equatore; ed era questa montagna che il suo Ulisse aveva intravisto navigando nel suo folle volo verso occidente. Allo stesso tempo, per Dante e per i suoi contemporanei (e – chissà? – forse anche per noi) il paradiso in terra è anche un luogo interiore, una condizione in cui ci si può trovare e a cui aspirare costantemente

Dante e Beatrice verso la luce …
una piccola anteprima per chi continuerà a seguire il Museodivino!

Le ultime battute del professor Scafi, che conduce a Londra ma online delle affascinanti letture guidate della Divina Commedia, sono state dedicate proprio all’attualità di un’opera composta più di settecento anni fa: a come abbia senso occuparsene se da essa ci si fa guidare anche nella vita personale, permettendo al poeta di suggerirci geniali soluzioni ai tormenti e alle difficoltà che ci separano dal nostro Paradiso interiore.

A questo tema il professor Scafi ha dedicato anche una recente pubblicazione non accademica ma autobiografica dall’eloquente titolo, dantesco e paradisiaco, L’uomo con le radici in cielo.

La presentazione del libro è a questo link
Generosamente, il professor Scafi racconta in inglese la storia delle mappe del Paradiso Terrestre a questo link Vimeo

Applaudiamo con entusiasmo, seguono domande, risposte e pausa caffè durante la quale studiamo il programma. Il convegno sarà diviso in quattro parti, due nella giornata di oggi e due domani, dedicate a diversi aspetti della “questione”: il testo, il libro, il digitale e le immagini.

un fermo immagine che immortala le rappresentanti del Museodivino mentre si avvicinano al buffet della colazione

PARTE PRIMA – IL TESTO

Dove ci porta la filologia!

Nessuno meglio del professor Andrea Mazzucchi, titolare della cattedra di Filologia della Letteratura Italiana all’Università degli Studi di Napoli Federico II, poteva introdurre questa prima parte dedicata all’aspetto testuale dei manoscritti danteschi. “La filologia”, diceva la Governante ne La Lezione di Ionesco, “conduce al peggio” – ma noi non siamo per nulla d’accordo. Per intenderci, la filologia è quella scienza che si occupa tra altre cose di ricostruire il testo originale di opere del passato che ci sono giunte appunto non nella prima versione manoscritta dell’autore (troppo facile!), ma attraverso decine di manoscritti differenti, copie di copie di copie di copie, su cui i poveri amanuensi hanno fatto errori a ripetizione: basta che uno si distragga mentre copia, pensando all’arrivo della primavera e scrivendo “ahi” invece di “chi”, ed ecco che i cento manoscritti che copieranno da lui ripeteranno quell’errore. E poi uno di loro si addormenterà sul suo volume dopo una sbornia, e al risveglio scriverà “ahia”, e quello dopo correggerà “aia”, e così rischiamo di interrogarci per secoli sul perché Dante abbia accennato a galline e pulcini in un passo dell’Inferno, e cosa questo abbia a che vedere con la punizione inflitta ai dannati lì intorno.

Immagine trovata con ricerca generica su Google, di cui non sappiamo né il luogo di provenienza, né il manoscritto, né la pagina, né la possibile provenienza del miniatore, né la biblioteca in cui è conservata: esempio chiarissimo di come non si deve assolutamente fare.

Dunque: viva la filologia! Scienza umanistica e perciò stesso non precisa quanto la matematica, ma dotata di specifiche strutture di interpretazione basate su confronti, ri-confronti, slittamenti di vocali, classificazioni degli errori, tabelle statistiche e alberi genealogici dei manoscritti, studio della scrittura e della lingua – scienza giovane, ma non giovanissima, nata a cavallo tra Sette e Ottocento, coeva non a caso dell’archeologia (l’accenno ha un suo senso, come vedremo alla fine di questa due-giorni) … la filologia, dunque, si occupa tra tante cose di risalire indietro nel tempo, mappare tutti i manoscritti di una stessa opera e tentare di ricostruire – parola per parola, virgola per virgola, il testo originale perdutosi ormai irrimediabilmente – oppure chissà, nascosto da qualche parte a ridersela dei nostri sforzi.


Alla ricerca del primo Dante

Perché lo ricordiamo, non esiste nulla, ma proprio nulla, scritto di proprio pugno da Dante Alighieri: neppure una cambiale, figuriamoci una poesia, figuriamoci la Commedia!  Dunque, la filologia dantesca è un campo vastissimo e pieno di accidenti, dove si esplorano i più di 800 manoscritti, testimoni dell’enorme fortuna dell’opera, nell’allegra e faticosa speranza che in cima a questa montagna si arriverà a un testo il più possibile vicino a quello di Dante …Ed è una scienza in cui Napoli è centro d’eccellenza. Basta vedere come il professor Mazzucchi, per introdurre i Postumi del Centenario, non possa resistere alla tentazione di cercare la prima apparizione della parola “spranghetta”, quel mal di capa che ti prende dopo una sbornia (sia pure intellettuale come quella del centenario dantesco): fino a scoprirne l’attestazione addirittura nei Promessi Sposi di Manzoni! Insomma, la filologia non conduce al peggio – ma attenzione, comunque, perché nulla sfugge al suo sguardo …

Ovviamente, il professor Mazzucchi ha detto molte altre cose importanti, mettendo ad esempio in luce quanto la divisione degli interventi secondo le sezioni tematiche “testo”, “libro”, “digitale” e “immagini” sarebbe stata funzionale all’organizzazione dei discorsi (e di questi articoli, aggiungiamo noi!) ma che mai come oggi per l’analisi di un manoscritto si può ed è bene contare sui diversi approcci metodologici incrociati.

lo stemma codicum spiegato in modo semplice
lo stemma codicum della Divina Commedia: secondo Petrocchi
lo stemma codicum del De Generatione et de corruptione di Aristotele – praticamente un’equazione di quinto grado …

Frammenti di un discorso dantesco

E siccome i filologi sono – diciamoci la verità – persone coraggiose, che dedicano la vita a salvarci dagli erronei pulcini danteschi, ecco che il convegno inizia con un aspetto complicatissimo del lavoro di ricostruzione dei testi: quello sui frammenti. Troppo comodo partire da un’intera Divina Commedia, con il suo bell’incipit e la conclusione nell’Amor che muove il sole e tutte l’altre stelle. Qui si va a caccia di “pezzettini” dell’opera: dalla più semplice citazione all’interno di un testo che parla d’altro, fino ad arrivare alle raccolte di pagine sparse, tra le quali a volte possiamo avere la fortuna di incontrare un frammento di Paradiso. A quale edizione appartiene? Da quale copista è stato copiato? Può farci scoprire nuove versioni di un brano su cui i vari manoscritti che conosciamo sono discordi? Angelo Eugenio Mecca, laureato presso la Normale di Pisa e l’Università “Ca Foscari” di Venezia, oltre a essere impegnato nella realizzazione di una nuova edizione critica della Commedia, ha mappato nel suo libro pionieristico I Manoscritti Frammentari della Commedia queste tracce incomplete del capolavoro dantesco da cui si potranno trarre con calma e perizia certosina conclusioni nuove e nuove ipotesi di lavoro.


Adespota sarà lei!

Il nostro amato poeta Mandel’štam diceva che l’opera dantesca esce dal porto per avventurarsi nel mare dei lettori come un galeone che abbia attaccate al suo scafo le conchiglie dei commenti, nei sempre rinnovati tentativi di comprendere meglio in tutte le sue sfaccettature il poliedrico e scintillante testo dantesco. Tra queste conchiglie le “chiose”, quelle note a margine che approfondiscono, spiegano e interpretano il testo, sono materiale preziosissimo per orientarci nel poema: non solo i riferimenti a personaggi coevi a Dante e vicini temporalmente ai commentatori non sarebbero assolutamente comprensibili per noi senza l’ausilio di queste note, ma anche per orientarci nel mondo dell’ interpretazione allegorica, nonché alla ricerca delle fonti stesse di Dante, che cita filosofi, teologi, poeti, rielabora e mescola le carte lasciando a noi il compito di districarci per scoprire, ogni volta con più ammirazione, quanto il suo contributo sia arditamente originale. Ma anche queste chiose vanno trattate con cura e a volte con sospetto – per fare un esempio banale, le informazioni contenute in una chiosa riguardo la vita di Francesca da Rimini potrebbero essere derivate dalla Commedia stessa!  Non sono rari questi casi di confusione tra fiction e realtà, che ci illudono di scoprire dati storici (Gianciotto era zoppo, ecco perché l’ha tradito!) ma che in realtà nulla aggiungono alla nostra conoscenza della vera figura della povera Francesca. Dunque, come fare? Bisogna “conoscere” i vari commentatori, imparare a distinguerne lo stile, dar loro un nome (spesso ci sono), valutare sulla base di confronti comparati il loro grado di affidabilità … e già questo è un gran bel lavoro. Ma se invece la mano non è riconoscibile? Eccoci nel campo dei “commenti adespoti”, quelli di cui appunto non siamo ancora riusciti a individuare l’autore. Siccome come dicevamo nei Postumi del Centenario hanno parlato gli esploratori dei luoghi più impervi della filologia dantesca, ecco Giuseppe Alvino, assegnista presso la Scuola Superiore Meridionale e collaboratore di IDP, che ci ha presentato il suo lavoro su questi commenti così complessi da analizzare e catalogare. Tra i ben 200 manoscritti contenenti chiose / commenti adespoti tre e quattrocenteschi il suo intervento si è focalizzato sul “ms. Canonici It. 108” (i nomi dei manoscritti sono strani, ma vi possiamo assicurare che, come la follia di Amleto, hanno una loro ineccepibile logica). Il manoscritto, custodito alla Bodleian Library di Oxford, contiene chiose provenienti da ben cinque autori, di cui uno inserisce elementi anche del tutto originali rispetto ai commenti antichi più noti (ad es. una particolare narrazione del Cavallo di Troia). Chi era questo chiosatore originale? Da dove veniva, da quali libri traeva quelle informazioni che non appaiono in altri testi? Se in questo momento sentite un forte desiderio di conoscere le ipotesi di Giuseppe Alvino in proposito potrete seguire il suo intervento a questo link, ma soprattutto dovreste riflettere sul vostro destino: forse siete nati per diventare filologi!

L’incipit del Purgatorio del ms. Canonici It. 108 con Dante e Virgilio che navigano sulla navicella dell’ingegno! Il manoscritto è interamente “sfogliabile” sul sito della Digital Bodleian

Ordini di sillogi e altri misteri

Il caro Dante però, non si limita a darci filo da torcere con la sua Commedia e le chiose a essa collegate, ma si diverte a tormentare i nostri poveri studiosi anche con le sue poesie. Compendi danteschi che raccolgono diversi componimenti dalle Rime e dalla Vita Nova ci sono giunte presentando diverse conformazioni: alcune poesie sono in tutte le raccolte, altre variano – e variano le posizioni, il numero …  Tra i primi a comporre queste sillogi dantesche fu proprio una superstar della letteratura quale Giovanni Boccaccio, che si prese “la briga e di certo il gusto” di scegliere quali poesie di Dante portare alla conoscenza dei suoi lettori e forse a quali componimenti dare preminenza, ponendoli ad esempio in apertura o in chiusura. Federico Ruggiero, assegnista presso la scuola di Alta Formazione in Storia e Filologia del Manoscritto e del Libro antico dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, specializzato nella tradizione lirica del Duecento e Trecento, dopo averci mostrato il panorama delle problematiche collegate a questi studi, ha proposto di datare un manoscritto contenente appunto frammenti della Commedia e della Vita Nuova, in epoca addirittura pre-boccaccesca. Volete sapere quale? Allora è indubbio che abbiate la stoffa del filologo. A questo link, l’intervento del dott. Ruggiero.

bisogna mettere un po’ d’ordine in tutto ciò!

Un illuminante purtuso

E infine Francesca Spinelli, dottoranda di ricerca in storia della lingua italiana e filologia all’Università di Firenze, ci ha portato nei meandri della lingua italiana del Trecento: una lingua di cui l’opera di Dante stava iniziando il suo portentoso lavoro di unificazione ma che scorreva in rivoli diversissimi, con divergenze lessicali enormi non solo tra regioni lontane ma anche tra città e paesini contigui. Questa straordinaria varietà linguistica è attestata e preservata anche paradossalmente proprio dalla Divina Commedia, che ponendo le basi per una sola lingua – l’italiano volgare, appunto – spinse al contempo i suoi chiosatori a tradurre nei dialetti locali alcune delle espressioni dantesche più ostiche per la propria regione di appartenenza. Così, analizzando il manoscritto Fonds Italiens 69 conservato a Parigi, e più precisamente le note del suo secondo chiosatore, scopriamo che l’espressione dantesca “lezzo”, per noi piuttosto comprensibile, viene tradotto con “fieto” – parola che ancor oggi risulta più famigliare al sud che al nord della penisola, come il “purtuso” che traduce “bucha”. Questi studi portano dunque non solo a realizzare dei veri e propri vocabolari delle diverse aree geografiche dell’Italia del Trecento, ma anche a scoprire parole che si sono perse, o si sono evolute in sensi differenti da quelli iniziali, o che indicano in modo (quasi) certo l’area di provenienza di un certo chiosatore. Qualche esempio? Seguite a questo link l’intervento della bravissima dottoressa Spinelli, che ha condensato il suo denso discorso in uno spazio-tempo davvero stringato per consentire la meritata pausa pranzo a tutti i convegnisti. E se invece di andare anche voi a rifocillarvi vi state attardando a prendere appunti su Le chiose adespote del manoscritto Fonds Italien 69: edizione e commento lessicografico – ebbene, allora è chiaro a tutti che siete ormai caduti nella rete della filologia dantesca. Ionesco vi aveva avvertito … e noi ne siamo felicissime. A breve il prossimo articolo, con gli interventi del pomeriggio di martedì 26 aprile, attorno al tema “il libro”, nonché la risposta alla domanda: ma cosa c’entra il saké? Buon appetito e buone chiose a tutti!

come darvi torto se preferite questo ghiotto incipit dell’Inferno, con iniziale di cantica istoriata, anziché accorrere al buffet? E chi sarà il personaggio raffigurato nella N?

La Hall of Fame dei manoscritti di tutti i tempi – c’è un sacco di lavoro da fare

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